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Qui da noi la chiamano “bruuch” che, italianizzando senza scrupoli, suonerebbe come “brugo” che ne rappresenta, in effetti, la denominazione corrente. In realtà l’onnipresente Carl von Linné, meglio noto come Linneo, nel XVIII secolo, decise di indicarla con l’appellativo di Erica. Da noi e in tutta Europa cresce spontaneamente un po’ dovunque e i suoi piccoli fiori rosa – fucsia fanno bella mostra di sé lungo i sentieri montani e nei nostri giardini. Si tratta di un’essenza vegetale che non teme temperature anche molto rigide. Il nome è di origine greca: ne hanno parlato Eschilo e Teocrito che la chiamavano ἐρείκη (eréikē), e i latini erice.

Anche se la vulgata sostiene che il nome derivi direttamente dallo scandinavo Erik o Eirikr, italianizzato in Enrico e Enrica. Ma si tratta di associazione onomastica errata. Esistono circa 800 specie di Erica alcune delle quali (cultivar) producono infiorescenze bianche. Tutte le varietà di Erica sono comunque molto apprezzate dalle api che ne ricavano un ottimo miele monoflorale. All’Erica la farmacopea popolare attribuisce numerose caratteristiche fra cui proprietà diuretiche, antireumatiche, emostatiche. Le tisane di Erica sembra combattano le infezioni delle vie urinarie, la gotta e l’insonnia. Ma datemi retta: utilizzate il bruuch solo a scopi ornamentali.

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