“Avrebbe potuto fermarsi, nel 1827, al grande successo che ebbe subito la prima edizione dei “Promessi Sposi” (abbandonato il titolo originale “Fermo e Lucia”), la cosiddetta “edizione ventisettana” , che ebbe subito una grande diffusione e addirittura una quarantina di tentativi di copia. Ma lui voleva andare oltre, voleva scrivere un romanzo “perfetto” che diventasse la base della lingua italiana, e per questo andò più volte a Firenze, a “risciacquare i panni in Arno”, come disse in una espressione divenuta celebre”.
Così Emanuela Fontana, già giornalista, poi scrittrice e professoressa, abitante a Roma ma milanese di nascita, è venuta a Barzio a parlare del suo libro premiato l’anno scorso a Lecco, ex aequo al primo posto, nel Concorso letterario dedicato alle opere su Manzoni : “La correttrice“.
Un libro che ha suscitato naturalmente subito molta curiosità (la scrittrice ha girato molte scuole per presentarlo, dalla Sicilia al Piemonte) : “Manzoni era andato a Firenze due volte. La prima subito dopo la pubblicazione del romanzo, nel 1827, insieme a tutta la famiglia, per quasi un mese. Lì aveva incontrato alcuni scrittori, facenti parte del “Gabinetto Viesseux”, da cui aveva tratto consigli per le prime correzioni (in inchiostro rosso tenue).
Ma le correzioni più importanti le fece dopo, nel 1836, quando dopo un periodo di grandi difficoltà (gli era morta da poco la prima moglie, la amatissima Enrichetta Blondel) andò a Firenze per la seconda volta, rimanendoci fino al 1843″.
Fu in questa occasione che conobbe una giovane ragazza di 24 anni, Emilia Luti, di buona famiglia fiorentina, presentatagli da suo cognato Massimo d’Azeglio come un’ottima governante.
La ragazza era sveglia e intelligente: fu lei, secondo la Fontana, la vera ispiratrice delle numerose correzioni che Manzoni, fidandosi di lei, apportò al suo rinnovato romanzo, chiamato nella seconda edizione stampata nel 1842 “I Promessi Sposi” (la cosiddetta “edizione quarantana”, divenuta poi definitiva).
Manzoni infatti aveva bisogno di una voce popolare, che conoscesse un buon italiano ma senza troppi fronzoli: “L’ossessione di Manzoni era infatti quello di dare una lingua comune al nuovo Stato che sarebbe nato nel Risorgimento, e così fu. Per questo è considerato giustamente un “Padre della Patria”.
Come è noto, lui era un personaggio carismatico, ma anche molto flemmatico. Aveva qualche problema anche fisico (ad esempio era balbuziente) doveva lavorare con molta calma (poche ore al giorno e neanche tutti i giorni) ma il suo obiettivo gli era molto chiaro. Gli Austriaci gli controllavano, a Milano, la corrispondenza, ma lui non riusciva rispondere a tutte le lettere che gli arrivavano.
Lui voleva fondare una nuova lingua comune a tutto il popolo italiano, ed è per questo che ancora oggi il suo romanzo si legge in tutte le scuole italiane.
Il romanzo poi si sofferma anche sulla vita quotidiana del grande scrittore, e sul rapporto fiducioso con questa ragazza che aveva molti anni meno di lui, e che fino al libro della Fontana nessuno a dire il vero conosceva.
La ricerca della scrittrice è nata da una dedica che l’autore scrisse alla giovane (che nel frattempo era venuta anche a fare una visita a Lecco per vedere di persona dove era ambientato il racconto) al termine della sua nuova fatica, in una copia della nuova ripubblicazione: “ Madamigella Emilia Luti, gradisca questi cenci da Lei risciacquati in Arno che le offre, con affettuosa riconoscenza, l’autore“.
Come detto, nessuno prima della Fontana aveva idea di chi fosse questa Luti: per indagare sulla sua vita ci sono volute anche ricerche d’archivio a Firenze. Verranno più avanti esposte in un saggio storico, ma la parte più emozionale è quella che emerge dal romanzo storico che la Fontana ha voluto creare, immaginando anche alcuni dialoghi realistici.
Un bel lavoro, molto apprezzato dal pubblico presente, e dal “gruppo di lettura” creato dalla Biblioteca di Barzio, mentre Angelo Scandella ha provveduto a leggere alcune parti del libro e a sollecitare l’autrice con alcune domande.
Enrico Baroncelli