Se ne trovano quasi ovunque sotto forma di siepe. Funzione che costituisce l’uso principale di questa pianta sempreverde dalle foglie piccole e lucide. Si tratta del ligustrum vulgare, di cui si conoscono una cinquantina di specie tutte appartenenti alla famiglia delle Oleacee. Per questo motivo un altro termine con il quale viene indicato il ligustro è “olivella”. In questo periodo al sommo delle compattissime siepi stanno spuntando i primi piccoli germogli biancastri, riprodotti nella foto, che cederanno il posto a fiorellini bianchi dall’olezzo intenso che non tutti gradiscono. L’appellativo ligustro deriva dal latino in riferimento al verbo “ligare” (legare) poiché la flessibilità dei suoi rami consentiva di produrre legature per diversi impieghi in agricoltura. Ancora oggi se ne ricavano canestri a intreccio.
Le prime tracce scritte giunte fino a noi di questa essenza vegetale risalgono al poeta latino Virgilio. L’autore dell’Eneide ne parla nell’Ecloga 2 della seconda Bucolica: “alba ligustra cadunt, vaccinia nigra leguntur” (i bianchi ligustri cadono, i giacinti [ma forse anche “mirtilli” n.d.r.] neri vengono raccolti). L’antico lignaggio del ligustro viene sottolineato inoltre dalle citazioni di autori come Plinio il Vecchio e Dioscoride Pedanio, naturalista e medico di Nerone. Ma il moderno nome scientifico Ligustrum è stato impartito nel XVIII secolo dall’inesorabile Linneo nel trattato “Species plantarum”. Un avvertimento: le bacche di questa essenza sono tossiche. Quindi se dovete potare la siepe di olivella del vostro giardino, usate i guanti oppure lavatevi bene le mani a lavoro terminato. Da sottolineare infine che se sottoposta a costante potatura che non ne consente lo sviluppo verticale, difficilmente la siepe di ligustro produrrà bacche.