Alcuni la chiamano Barba di capra. Altri Asparago di bosco o Coda di volpe; ma anche Erba canona oppure Rosa di San Giovanni. Quest’ultima definizione ha un fondamento scientifico visto che l’infiorescenza riportata nella foto appartiene alla famiglia delle Rosacee.
I botanici la chiamano Aruncus dioicus e, per una volta, nell’attribuzione dell’appellativo scientifico il solito Linneo non c’entra perché il nome è stato proposto ed accettato nel Settecento da tale Michael Adanson anche se in alcuni trattati di botanica meno aggiornati, la pianta viene ancora definita come aveva stabilito Linneo; cioé Spiraea aruncus. L’appellativo generico aruncus ha origine greca e fa riferimento alla forma che ricorda proprio la barba delle capre, mentre il termine specifico dioicus, derivato sempre dal greco, sta ad indicare la presenza di organi maschili e femminili su piante diverse.
La pianta è noto fin dall’antichità e viene citata da Teofrasto e Plinio il Vecchio ma soprattutto dal medico e botanico del I secolo dopo Cristo, Dioscoride Pedanio che ne riferisce nella sua opera maggiore “De materia medica”. Si tratta di un’essenza vegetale molto diffusa anche in Valsassina, che cresce più frequentemente ai margini dei boschi. Se ne trovano numerose colonie lungo la strada che porta da Taceno a Bellano.
Pare che l’Asparago di bosco possa essere impiegato anche in cucina. Infatti qualcuno, durante la primavera, raccoglie i germogli che spuntano alla base della pianta e li cucina proprio come se fossero asparagi. Nella medicina tradizionale la Barba di capra veniva utilizzata per le sue presunte proprietà febbrifughe, astringenti, espettoranti e toniche. Un tempo le radici pestate nel mortaio venivano impiegate come lenitivo per le punture di vespe e altri insetti.
Ma occorre fare molta attenzione perché durante l’estate le infiorescenze dell’Aruncus dioicus sviluppano sostanze tossiche e occorre evitare di consumarne. Anzi, è meglio non consumarne mai: potrebbe essere molto pericoloso.