Trump: The Tariff Man è tornato | ISPI
Condividi l'Articolo sui Social

E’ innegabile che la principale preoccupazione degli analisti politici, ora che Trump ha vinto le elezioni americane contro Kamala Harris, è se il Tycoon del “Make America Great Again” terrà fede al suo programma elettorale, in particolare per quanto riguarda la politica economica, e attiverà numerosi e forti dazi di importazioni sia su prodotti Cinesi sia (purtroppo) su quegli Europei, come già aveva cominciato a fare durante il suo quadriennio presidenziale precedente (2016-20).

Ora bisogna dire che i Dazi sono uno strumento potente, che nei secoli passati sono serviti a “proteggere” le industrie nazionali (infatti si chiama politica del “Protezionismo“) e sono il contrario del “Liberalismo”, cioè frontiere aperte, la tendenza di questi ultimi decenni, basti pensare al Mercato Unico Europeo.

I Dazi li usò in particolare anche il nuovo Stato Italiano, appena uscito alla fine dell’Ottocento dalle guerre del Risorgimento, e in piena espansione economica (la Seconda Rivoluzione Industriale, che vide nascere colossi come la Pirelli, Breda, a Lecco la Falck, Badoni, Fiocchi Caleotto ecc.

Nel 1878 e nel 1887 il nuovo Regno Italiano aprì una vera e propria “Guerra commerciale” con la Francia in particolare, che vendeva i nostri stessi prodotti: formaggi, seta, tessile, siderurgia ecc.
Fu proprio per questa “Guerra dei Dazi” che l’Italia aderì alla Triplice Alleanza (con Germania ed Austria) e non alla Triplice Intesa (Francia Inghilterra Russia) salvo poi cambiare fronte a I Guerra Mondiale iniziata (e i Tedeschi gridarono al “Tradimento”).

In tempi più recenti, i Dazi salvarono l’Europa dall’invasione dei prodotti Cinesi, contingentati fino all’anno 2000: ma in quell’anno il WTO (World Trading Organization) con un Direttore italiano (Arnaldo Ruggero) in nome del libero commercio e libero scambio decretò la fine dei divieti di importazione.

Così però fu anche decretata la fine del settore tessile di Prato (uno dei più forti in Italia e in Europa) oggi passato quasi interamente in proprietà dei Cinesi, ma anche di altri settori a “basso valore aggiunto”.

IL problema dei Dazi è che se il Paese A impone dei Dazi al Paese B, questo risponderà imponendo a sua volta alti dazi contro il Paese A.

Sempre intorno al 2000 abbiamo avuto la cosiddetta “Guerra delle banane“: l’Italia (e l’Europa) avevano messo dei dazi sulle banane “Chiquita”, il cui commercio era controllato dagli Stati Uniti, e questi per ritorsione avevano messo dei dazi sul tessile italiano (ne hanno sofferto in particolare, oltre alla già citata Prato, le scarpe di Vigevano, ex capitale del calzaturificio) .

Nel 2018 ai dazi imposti da Trump ai paesi europei, è stato risposto praticamente bloccando molti prodotti americani, tra cui per esempio le celebri moto Harley Davidson (che hanno raggiunto prezzi improponibili).

Insomma la “Guerra dei Dazi” raramente oggi porta risultati soddisfacenti, è una battaglia di retroguardia, e soprattutto va contro la tendenza economica degli ultimi decenni : la “Globalizzazione” è ormai un dato di fatto. Molti dei prodotti industriali complessi, dai telefonini alle automobili a molto altro, ha componenti che provengono da ogni parte del mondo, in particolare dal Sud Est Asiatico e dalla Cina, che si è accaparrata una gran parte delle “terre rare” (presenti soprattutto in Africa) indispensabili all’industria tecnologica moderna.

Non a caso nel suo primo discorso da Presidente Trump ha elogiato le materie prime di cui l’America dispone: probabilmente però non basteranno per tornare indietro alle produzioni nazionali (non siamo più nell’Ottocento e nemmeno nel Novecento).

Ma se per gli Stati Uniti forse non basteranno, per l’Europa, che ne ha sempre meno ed è fortemente dipendente dai mercati esteri, la situazione potrebbe diventare assolutamente tragica (non a caso Stellantis e persino la mitica Volkswagen stanno entrando in una grave crisi).

Quelli che fanno salti di gioia perché nelle elezioni ha vinto Trump un domani potrebbero seriamente ricredersi !

Enrico Baroncelli

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *