Il fucsia intenso spicca violento contro la roccia rugginosa e umida. Impossibile non notarlo. Quasi impossibile resistere alla tentazione di immortalarlo in una fotografia. Lo stelo costellato di piccoli fiori si lanciava verso l’alto a pochi metri dalla Bocca di Biandino.
È un esemplare di Epilobium angustifolium, più noto come Camenerio. Un’essenza vegetale dai molti nomi, segno che questa pianta è conosciuta fin da tempi remoti. Viene infatti chiamata Garofanino di bosco, Garofanino maggiore, Fiore di Sant’Anna, perchè fiorisce verso la fine di luglio (S. Anna si celebra il 26) e così via. L’Epilobium è diffuso lungo tutto l’arco alpino e prealpino sopra i 1000 metri.
Il nome scientifico è stato imposto nel XVIII secolo dal solito Linneo e deriva, come spesso accade in botanica, dal greco: epì (ἐπί) “sopra” e lobos (λοβός ) “lobo”, a causa dei petali (lobi) inseriti sopra l’ovario. L’appellativo specifico angustifolium fa riferimento alle foglie, piuttosto strette e sottili. Ma il Garofanino di bosco non è soltanto bello ma possiede anche, secondo la farmacopea officinale, numerose proprietà curative grazie all’elevato contenuto di flavonoidi, zuccheri, mucillagini, acido oleanolico e ursolico.
L’elenco delle matattie che, secondo la medicina popolare, troverebbero giovamento nell’uso dell’Epilobium è molto lungo: dall’iperplasia prostatica benigna alla bronchite; dalle dermatosi infiammatorie ai problemi intestinali; dalle infezioni dell’apparato oro faringeo alla tosse generica; dal mal di gola all’ulcera gastrica; dalle emorragie alle ustioni e altro ancora. Sembra addirittura che possieda addirittura poteri anticancerogeni. In cucnina può essere utilizzato nelle insalate. Ma andateci piano. Anche se non è tossico l’epilobium e i suoi preparati officinali (infuso e tintura madre) è meglio procurarseli dall’erborista rinunciando al fai da te. E se soffrite di qualcuno dei problemi appena riferiti rivolgetevi al medico, non allo sciamano.