STORIA E TRADIZIONI DI UNA FESTA CHE CI APPARTIENE
Ci siamo…tra una settimana é Halloween, e, come succede ogni anno, partono gli attacchi a questa festa: “Non fate festeggiare Halloween ai vostri figli, è la festa del diavolo”, “Non è una festa cattolica tanto meno italiana, noi festeggiamo Ognissanti”, e via con queste frasi che invadono i social. Mai niente di più falso di queste affermazioni! E adesso vi spieghiamo anche il perché…
Per farlo dobbiamo partire da molto lontano, più o meno nell’800 a.C., a quando cioè risalgono le prime prove documentate dell’esistenza dei Celti, (sfatiamo un altro mito: Halloween non è una festa americana)
Quelle popolazioni celtiche che, lo ricordiamo, erano stanziali nella zona compresa tra il Piemonte, la Lombardia, l’Emilia-Romagna e parte delle Marche (famosissima la civiltà di Golasecca, in provincia di Varese).
La festa di Halloween infatti affonda le sue radici nella festa celtica Samhain.
Samhain era l’equivalente del capodanno, che per i celti cadeva il primo di novembre, giorno che segnalava la fine dell’estate e del raccolto e l’inizio del buio e freddo inverno.
I celti associavano questo periodo dell’anno con la morte. Credevano che nella notte prima dell’anno nuovo (cioè il 31 ottobre), il confine tra il mondo dei vivi e quello dei morti si confondesse, permettendo così agli spiriti di tornare sulla terra.
Gli spiriti, secondo i celti, causavano molti problemi e danneggiavano i raccolti. Allo stesso tempo però, la loro presenza sulla terra permetteva ai druidi (i sacerdoti celtici) di prevedere il futuro con più facilità.
Perciò, ogni Samhain i druidi costruivano enormi falò sacri, attorno cui le persone si riunivano per bruciare raccolti e animali sacrificali per ingraziarsi le divinità celtiche. Durante il rito, per spaventare gli spiriti i celti indossavano costumi tipicamente fatti da teste e pelli di animali, e cercavano di indovinare la sorte degli altri.
Anche tra gli antichi Romani c’erano diverse feste dedicate alla commemorazione funebre disseminate durante l’anno, ma naturalmente in autunno si concentravano per numero e per concetto spirituale. Il 5 ottobre e l’8 novembre si celebrava il Mundus Patet, mentre il 6 ottobre c’era il Dies Ater. Il primo contemplava l’apertura di una fossa nella terra che metteva in comunicazione con il mondo dei morti. La seconda era un giorno legato alla tristezza per un evento tragico legato al mondo dei defunti. Invece alla fine di ottobre, più precisamente il 29, si onorava Vertumno, dio del mutamento stagionale. Ed è quest’ultimo evento che andò a fondersi con il Samhain celtico, infatti nel corso dei secoli gli scambi commerciali e culturali con i Celti favorirono la fusione di queste festività.
Le tradizioni funebri, come tutte le tradizioni pagane antiche, non persero mai la loro presa sulla popolazione che anno dopo anno le onorava con la stessa devozione di sempre. La Chiesa, che aveva tollerato per secoli queste manifestazioni, a un certo punto decise di prendere provvedimenti e nell’anno 738, Papa Gregorio III fece appositamente spostare festa dei Santi dal 13 maggio al 1° novembre per sovrapporla a quella pagana. Tuttavia i rituali, i travestimenti, i falò, i lumini e le offerte di cibo continuarono per molto tempo, poiché la popolazione era legata ad essi da secoli e non aveva alcuna intenzione di rinunciarvi. Fu così che nel X secolo la Chiesa aggiunse anche la “Festa dei Morti” al 2 novembre: una festa dedicata ai morti terreni che in qualche modo andava a giustificare e tollerare gli antichi rituali pagani ancora in voga.
A partire dal 1600, grazie al colonialismo britannico, la festa di Samhain fu esportata nel “Nuovo Mondo” e in quell’ambiente, così lontano dall’Europa e dalla Chiesa, si evolse per proprio conto. Il nome Halloween (in irlandese Hallow E’en), deriva infatti dalla forma contratta di All Hallows’ Eve, dove Hallow è la parola arcaica inglese che significa Santo: la vigilia di tutti i Santi, quindi. Ognissanti, invece, in inglese è All Hallows’ Day.
E così arriviamo ai primi decenni del ‘900, quando in molte parti d’Italia i festeggiamenti a cavallo tra il 31 ottobre e il 2 novembre ricalcavano ancora fedelmente gli antichi usi pagani: zucche intagliate, bambini travestiti che andavano a chiedere i dolcetti porta a porta, le anime dei morti che portavano doni ai più piccini e via dicendo. Insomma non era cambiato nulla. Solo una cosa era cambiata: il nome.
In Lombardia era diffusa la credenza che, durante le prime notti di Novembre, i morti tornassero nelle loro case ma, nella parte orientale della regione, i riti di accoglienza per i defunti venivano praticati durante la vigilia di Ognissanti (31 Ottobre): a casa, più precisamente sui davanzali delle finestre, si lasciava una ciotola di latte o un bicchiere di vino rosso e del cibo, solitamente castagne bollite, così da nutrire le anime dei trapassati. A Bormio la notte del 2 Novembre si era soliti mettere sul davanzale una zucca riempita di vino per dissetare i defunti (in altri paesi della Lombardia, ad esempio nel Milanese, fino agli anni ’30 era uso prima di andare a dormire di sistemare in cucina una scodella colma d’acqua fresca). Nella zona attorno a Vigevano e in Lomellina era presente l’abitudine di lasciare in cucina il fuoco acceso e le sedie attorno al focolare.
Nei dintorni di Sondrio, per nutrire i defunti, si era soliti imbandire la tavola da pranzo con castagne bollite o ceci. Ad accompagnare queste cene-offerte c’erano sempre dei lumi accesi, così da guidare le anime dei defunti a casa. A Milano e in Brianza si usava intagliare delle zucche arancioni per inserirvi le candele sul fondo (chiamate “Lumere“) e andare in giro a spaventare le vecchiette, andando di casa in casa a chiedere del cibo per i morti: noci, nocciole, castagne. In Piemonte erano invece diffusi, sempre nei primi giorni di Novembre, i riti di accoglienza per il ritorno dei defunti.
Si usava, la sera di Ognissanti, radunarsi a recitare il rosario tra parenti e a cenare con le castagne. Finita la cena, la tavola non veniva sparecchiata: rimaneva imbandita col resto avanzato in quanto si riteneva che i trapassati tornassero a cibarsene. La famiglia riunita, dopo la cena, lasciava l’abitazione vuota per permettere agli spiriti di rifocillarsi, andando nel mentre in cimitero. In questa maniera veniva lasciata ai defunti la libertà di sfamarsi in pace prima di tornare nell’Aldilà. Il ritorno dei vivi a casa veniva annunciato dal suono delle campane così che gli spiriti potessero andare via senza creare fastidi.
In Ossola e nel Biellese c’era l’usanza di lasciare, dopo cena, la tavola apparecchiata con un piatto di caldarroste, i biscotti tradizionali chiamati “ossa dei morti” e del vino rosso, perché le anime dei defunti, nella notte, passavano a far visita.
Se con i film degli anni ’80 la nostra ingenuità ci ha portato a pensare che Halloween fosse una festa tutta americana, oggi sappiamo bene che le cose stanno diversamente, eppure alcuni gridano al pericolo culturale, altri suggeriscono di non festeggiare Halloween perché abbiamo le “nostre tradizioni”, che, a detta loro sono italiane a differenza di Halloween. Ciò nondimeno continuano a festeggiare il Natale addobbando l’albero, facendo regali e comprando il vischio: antichi rituali anch’essi pagani. Adesso che vi abbiamo raccontato bene perché Halloween, infondo, é una festa che ci appartiene, speriamo di non leggere lamentele ora che vi diciamo che anche quest’anno, come facciamo sempre, “festeggeremo” lo Samhain a modo nostro, raccontandovi di streghe, fantasmi e luoghi infestati delle nostre zone.
FONTE: https://www.levereoriginidihalloween.it/
IL CURIOSONE
Complimenti per la bella pagina riguardo la storia della celebrazione di Halloween.
La sconfitta dei “luoghi comuni” aiuta la conoscenza.
Ciao.
F.R.