Durante il primo autunno fa bella mostra di sé un po’ dovunque: s’arrampica sui muri di molte case; ricopre reticolati e recinzioni per lunghi tratti; infiamma di rosso scarlatto lampioni e pali in cemento per il sostegno delle linee elettriche; spesso avvolge in un rutilante abbraccio il tronco degli alberi. Proprio come l’edera con la quale, come vedremo, presenta alcune evidenti analogie non solo onomastiche. Ci occupiamo infatti, oggi, della pianta che i botanici chiamano Parthenocissus quinquefolia, il cui appellativo binomiale, per una volta, non è stato imposto dall’onnipresente Linneo ma da tale Planch nel 1887. Il primo termine del nome scientifico è composto dai lemmi “parteno” (dal greco:
παρϑένος: vergine, giovane donna, ragazza, poiché la produzione dei frutti avviene senza fecondazione) e dall’elemento desinenziale “cisso” (κισσός che per gli antichi abitanti dell’Attica significava “edera”, sinonimo di rampicante).
L’appellativo generico “quinquefolia” è dovuto al fatto che ogni foglia è composta da cinque lobi, mentre la cosiddetta vite canadese, che viene spesso confusa con quella americana, presenta foglie trilobate simili ai pampini della vite da uva. Entrambe le specie appartengono infatti alla famiglia delle vitacee. In questo periodo, come ben mostra la foto, il rosso sgargiante delle foglie è punteggiato da grappoli di bacche scure blu – viola simili a mirtilli e grosse come piselli. Gli uccelli, che ne sono ghiotti, provvedono a spargerne i semi contribuendo così alla riproduzione di questa pianta della quale si conoscono centinaia di varietà. I nativi americani usavano i germogli della vite americana a scopi medicinali contro la diarrea, le infiammazioni osteoarticolari e delle vie urinarie.
Anche oggi in erboristeria si possono trovare preparati a base di Partenocissus quinquefolia. Ma state molto attenti: si tratta di bacche tossiche per l’uomo e gli animali domestici. Quindi non assaggiatene anche se sono di aspetto invitante.