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Faceva freddo, molto freddo, quella gelida mattina del 30 dicembre 1944, uno degli inverni più rigidi del secolo. 34 partigiani, raccolti per dormire nella Baita della Pianca, un edificio posto sulla costa di Valdes, che dal versante valsassinese guarda la Valtaleggio, erano ancora assopiti nel sonno, ma avevano commesso un errore fatidico: non lasciare nessuno di guardia, fuori dalla baita, sia pure a gelarsi nel freddo.

“Tanto chi vuoi che arrivi con questo freddo, i Fascisti sono abituati a stare belli al calduccio nella loro caserme in città !” si saranno detti i giovani partigiani , la maggior parte compresi tra i 20 e i 30 anni, tra cui Leopoldo Scalcini, il mitico partigiano “Mina”, già ufficiale del Regio Esercito nella guerra in Jugoslavia, e il comandante Franco Carrara, detto “Walter”, proveniente da Alzano lombardo, già comandante di un gruppo di partigiani della ex Brigata 86 Issel, passato poi con la 55^ Rosselli.

Un errore imperdonabile: come sa chi ha esperienza militare, il nemico è pronto a colpirti proprio quando meno te l’aspetti !

Il Capitano Noseda, comandante del 1^ Battaglione della Brigata Nera “Cesare Rodini”, stava infatti faticosamente risalendo col suo battaglione, bloccando la strada da Avolasio a Vedeseta in Valtaleggio, e i sentieri per Morterone e la Culmine di San Pietro.

La sorpresa fu totale: i partigiani, insieme a un radiotelegrafista inglese e a un’interprete austriaca, vengono sorpresi praticamente ancora a letto.
Carrara in un sussulto cerca di scappare, lanciandosi nella neve, ma il suo corpo viene crivellato da una raffica di mitra. Rimarrà disteso nella neve per settimane.

Anche Noseda (fucilato dai partigiani dopo il 25 aprile 1945) veniva dalla guerra in Jugoslavia, come “Mina” .
Ma dopo l’8 Settembre , si era schierato con il nuovo esercito della Repubblica di Salo’ .
Uno da una parte, e uno dall’altra .
Quel giorno, in poche drammatiche ore, un’intera generazione dovette scegliere, una scelta drammatica e definitiva. Gli Editti di Graziani, dal Settembre 1943, lasciavano poco scampo: se non ti presentavi alla Caserma fascista rischiavi la fucilazione, compresi i tuoi parenti.

“Mario , perché ti sei arruolato con l’esercito dei Repubblichini ?” domandò a un suo vecchio amico, un ex giocatore del Lecco come lui, e suo omonimo, negli spensierati anni Trenta, Mario Cerati, comandante partigiano della Valsassina, nominato Presidente del Tribunale del Popolo creato nell’edificio dell’ex Istituto Parini a Lecco, dopo il 25 aprile 1945.
Il suo compito era giudicare i Fascisti catturati, ed eventualmente spedirli al Tribunale di Monza (molti rischiavano la fucilazione).
“Perchè avevo fame ! ” fu la sintetica risposta.
La stessa risposta che mi dette mio zio, Marcello Finelli di Sinalunga (la cittadina di Rosi Bindi), anche lui ex reduce delle GNR (le Guardie Repubblichine) quando, poco prima di morire, gli chiesi al telefono cosa ricordava di quegli anni : “Una gran fame !” mi rispose.
Del resto lo stesso Cerati con i giovani che si presentavano per arruolarsi nelle bande partigiane era stato molto esplicito: “Qui non c’è da mangiare, prenderete molto freddo, la vita è molto dura e non abbiamo nessuna comodità: volete arruolarvi lo stesso ?” .

Anche Cerati aveva passato l’inverno del ’44 praticamente come un eschimese, in Val Biandino, al riparo di grandi cumuli di neve utilizzati come igloo (i rifugi valsassinesi erano stati bruciati dai Tedeschi con i lanciafiamme).

Molti partigiani della Brigata Rosselli erano quindi scappati in Svizzera, dopo il proclama del Generale Alexander che consigliava di sciogliere le milizie per quell’inverno, partendo dalla Val Gerola: ben pochi erano rimasti a presidiare le montagne.

Ma torniamo a quella data fatidica, il 30 dicembre 1944 : i partigiani catturati vengono legati con del filo telefonico trovato in baita assieme ad altro materiale radio, ed in colonna portati a Introbio, in Valsassina.
A quell’epoca c’era solo una mulattiera che dalla Culmine scendeva alla baite di Mezzacca e poi a Cassina Valsassina e Cremeno. Da qui si raggiungeva Barzio e poi Introbio. I partigiani prigionieri vengono quindi fatti transitare fino a raggiungere la Villa Ghirardelli a Introbio.

Qui vengono interrogati con le rituali violenze e, alla mattina della domenica 31 dicembre, vengono caricati su due camion che partono verso Lecco.
Per andare a Lecco, da Introbio, normalmente si sale al colle di Balisio, poi per Ballabio; mentre i camion, passato il paese di Pasturo, al ponte della Frolla lasciano la strada principale e salgono a Barzio, da dove si dirigono nei pressi del cimitero.
Vengono fatti scendere dieci partigiani assieme a Mina, Leopoldo Scalcini, probabilmente il più maltrattato negli interrogatori, mentre il professore di Lettere Francesco Magni di Introbio, detto Francio, viene spedito a Lecco nelle mani dell’Ufficio Politico Investigativo . Verrà poi rilasciato e si salverà, scomparendo però misteriosamente due anni dopo, nel 1947, mentre nuotava nel Lago di Novate Mezzola vicino a Chiavenna.

“Mina” invece cerca di scappare lanciandosi dal camion in una via laterale di Introbio, subito dopo la strettoia, la via che porta ancora oggi il suo nome, dove c’è la sede della CGIL . Anche lui però viene colpito e ucciso da una raffica di mitra, e il suo corpo rimarrà per giorni steso sulla strada : nessuno poteva toccarlo, doveva rimanere lì come agghiacciante testimonianza

Undici partigiani sono invece fucilati lungo il muro del cimitero di Barzio, e quando il sacerdote arriva per confessarli il plotone di esecuzione ha già concluso la sua opera.
I camion ripartono e vanno verso Cremeno poi, passato il ponte della Vittoria, arrivano a Moggio (Frazione di Cremeno) dove il locale presidio fascista fa scendere tre partigiani (Silvio Perotto, Giuseppe Pennati e Mario Pallavicini). I tre sono fatti sfilare tra le case della frazione e poi fucilati al cimitero.

Il convoglio prosegue poi per Como dove arrivano i restanti partigiani che vengono in seguito tradotti a Milano presso il carcere di San Vittore.
Consultando i registri del carcere di San Vittore emerge che il giorno 9 gennaio 1945 entrano nel carcere dodici persone che possono essere fatte risalire ai partigiani catturati alla Pianca. Dai registri risulta anche che il 22 marzo 1945 cinque partigiani sono deportati verso la Germania mentre gli altri sette, dei quali non si indica la destinazione, vengono assolti.

La repressione ottiene il suo risultato, in primo luogo quello di terrorizzare la popolazione valsassinese, oltre ad altri episodi ben noti in Valle, come la cattura di numerosi ostaggi civili (tra cui i genitori di Cerati) portati in Villa Migliavacca, e liberati solo grazie all’intervento del Parroco Don Arturo Fumagalli.
Insomma, “Anni difficili” , come qualcuno li ha definiti, ma soprattutto “anni tragici”, di cui non abbiamo proprio nessuna nostalgia !

Enrico Baroncelli

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